lunedì 16 dicembre 2019

POSTMODERNISMO


Il postmodernismo

A partire dagli anni ottanta del Novecento lo scenario degli studi antropologici è stato movimentato dalle analisi e dalle prese di posizione degli esponenti del "postmodernismo".
James Clifford George Marcus sono i maggiori esponenti del postmodernismo e dal volume "writing culture: the poetics and politics of ethnography- scrivere le culture".
Nei saggi raccolti in questo libro, viene messo in discussione uno dei fondamenti dell'antropologia "classica": l'attendibilità del resoconto etnografico. Secondo l'impostazione tradizionale, la presenza del ricercatore sul posto e la sua partecipazione diretta alla vita degli indigeni davano alla relazione etnografica sufficienti garanzie di oggettività e rispondenza al vero.
In realtà, come aveva capito Geertz. la situazione tipica della ricerca antropologica non contempla un osservatore naturale che registra in modo accurato e neutro gli eventi, ma vede l'incontro di due interpreti: l'antropologo e il nativo che lo informa.
La descrizione del nativo che fa della propria cultura non è immediata e ingenua, ma inserita in un ben preciso quadro interpretativo sedimentato nel tempo.
Quando poi l'antropologo elabora il resoconto etnografico -ed è questo il punto centrale della critica postmoderna- traducendo in scrittura i racconti orali e osservazioni dirette, si avvale di una serie di espedienti tipici della sua cultura di appartenenza: seleziona ciò che reputa importante e scarta ciò che nella sua impostazione appare irrilevante, con un ampio uso di artifici retorici e convenzioni narrative che danno forma "letteraria" al testo.
L'antropologo quando scrive non fa scienza ma letteratura; inoltre, il suo lavoro è sempre "culturalmente  situato", ovvero inserito in una prospettiva che deriva dalla sua cultura di appartenenza e che condiziona la oggettività del suo sguardo e del suo ascolto.

Clifford e Marcus, criticano perché puntano a rinnovare i metodi della disciplina, inducendo qualsiasi studioso ad acquisire maggiore consapevolezza di tutto ciò che è implicito nella ricerca antropologica.
George Marcus suggerisce che dalla critica del lavoro etnografico può nascere la sperimentazione di nuove modalità di ricerca e scrittura, poiché le scienze umane non sono contraddistinte da uno sviluppo lineare/cumulativo, ma procedono in una maniera più complicata e tortuosa, caratterizzata da fratture e da una molteplicità di prospettive.

Dal punto di vista dei postmoderni, una parte dell'antropologia ha cercato di costruire delle "grandi narrazioni", ovvero complesse costruzioni teoriche con una loro coerenza interna che propongono una spiegazione del mondo.Appartengono le sistemazioni teoriche del funzionalismo o del materialismo culturale e alcune analisi di Levi-Strauss.
In tutti e 3 i casi, si tratta di analisi, che pur nelle loro differenze, condividono la caratteristica di allontanare l'antropologia dalle discipline che descrivono realtà particolari e mutevoli e non è possibile scoprire le leggi universali (discipline idiografiche), o di avvicinarla a quelle he cercano le leggi universali dei fenomeni(discipline nomotetiche)
L'antropologia contemporanea ha riannodato i legami con le tradizioni delle ricerche sul campo e il lavoro etnografico è ritornato in primo piano.
Nel mondo occidentale si è sviluppata l'antropologia del noi, che individua come oggetto di ricerca non l'indigeno nella lontana comunità di un villaggio, ma nell'altro che è in mezzo a noi.
Si può dire che oggi è tutto il mondo a offrirsi all'indagine dell'antropologo, con i suoi cambiamenti e i suoi "traffici di culture".




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