L'evoluzione culturale e organica
La cultura consiste in progressive esteriorizzazioni di potenzialità fisiche e mentali. Gli strumenti e le tecnologie, dai più semplici ai più elaborati, possono essere visti come "prolungamenti" esterni dell'intelligenza che aumentano la capacità di adattamento all'ambiente. Nell'ambito degli studi antropologici, si è ritenuto che l'evoluzione culturale, abbia seguito, l'evoluzione organica.
In virtù di un cervello molto più sviluppato di quello degli altri animali e degli stessi ominidi che lo avevano preceduto, Homo sapiens sapiens. Questo poteva superare i limiti della propria costruzione fisica per crearsi una sorta di seconda natura culturale, fatta di tecniche materiali e simboliche che gli permisero di adattarsi agli ambienti. Questa concezione ha fatto da sfondo alla riflessioni degli antropologi fino a quando non è stata messa in discussioni in seguito ad alcune scoperte della paleoantropologia, la disciplina che studia l'evoluzione del genere umano attraverso l'analisi dei reperti archeologici. Si parla dei fossili ritrovati nel 1959, che hanno permesso di retrodatare a 2 milioni di anni fa la comparsa dell'essere umano. Il primo ominide ritrovato è stato chiamato Homo sapiens, aveva un aspetto più scimmiesco che umano e il suo cervello era pari a un terzo del nostro, però era in grado di usare e fabbricare strumenti.
Andre Leroni-Gourhan, è stato il primo a cogliere l'importanza dei ritrovamenti africani di australopitechi e homo habilis.
Nel suo libro, lui sostiene che l'evoluzione può essere compendiata nell'immagine di una serie di "liberazioni" successive: quella dell'intero corpo rispetto alla locomozione, del cervello rispetto alla maschera facciale. L'evento decisivo per il genere umano è raggiungere la stazione eretta, perchè la liberazione della mano dai compiti di locomozione ha avuto come conseguenza l'emergere di comportamenti culturali: la fabbricazione di strumenti, la produzione di gesti comunicativi e l'elaborazione del linguaggio parlato.
Le nostre origini africane
Homo sapiens sapiens , detto anche uomo anatomicamente moderno.
Non si sanno le ragioni per cui il primo gruppo di migranti uscì dall'Africa e raggiunse il continente asiatico: forse furono spinti dalla necessità, rappresentata da un cambiamento climatico o da un'esuberanza demografica, forse dallo spirito di avventura. Quando questi arrivarono in Europa, 35.000 anni fa, gli uomini anatomicamente moderni, incontrarono i neanderthaliani, in quel momento unici abitanti del continente europeo, e ne provocarono l'estinzione. Se oggi l'idea di una comune origine africana dell'umanità non è più un'ipotesi ma un'accreditata teoria scientifica, merito di alcune ricerche genetiche seguite da Luigi Luca Cavalli Sforza. Grazie a lui oggi sappiamo che gli spostamenti e le migrazioni sono sempre stati presenti nella storia dell'umanità.
Il successo della specie a cui apparteniamo, di corporatura meno robusta dei suoi predecessori Homo erectus e Homo neandertalensis, più gracile nella struttura ossea e con una muscolatura meno sviluppata , si spiega con due parole: pensiero e linguaggio. Entrambi derivano dalla particolare struttura del cervello di Homo sapiens sapiens. Il cervello moderno ha un maggiore sviluppo di aree specializzate e di connessioni nervose, in particolare si distingue per la presenza dell'emisfero sinistro di due aree responsabili del pensiero e del linguaggio:
- l'area di Wernicke, che controlla la comprensione dei significati
- l'area di Broca, in cui avvengono la produzione del linguaggio e l'elaborazione della sintassi.
I primi ominidi possedevano dei sistemi di comunicazione gestuale e forse usavano dei suoni gutturali per formulare domande o indicare pianti, animali o altri aspetti della realtà, ma non erano in grado di parlare.
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